Società

Lockdown e food retail

Le nostre abitudini d’acquisto sono cambiate, molto probabilmente per sempre.
L’emergenza COVID e i conseguenti lockdown, hanno trasformato il nostro modo di fare la spesa e questa sembra essere una tendenza senza ritorno. Gli Ipermercati, le grandissime superfici, soffrono.

16 novembre 2020 8 minuti
scaffali supermercato gdo

Le nostre abitudini d’acquisto sono cambiate, molto probabilmente per sempre.

L’emergenza COVID e i conseguenti lockdown, hanno trasformato il nostro modo di fare la spesa e questa sembra essere una tendenza senza ritorno. Gli Ipermercati, le grandissime superfici, soffrono.

Torna alla ribalta il negozio di prossimità ed esplode l’abitudine di fare la spesa alimentare sul web. I discount tengono grazie alla loro capacità di garantire risparmio.

Se durante la pausa concessa al mondo dal virus nei mesi estivi si era potuto immaginare un ritorno almeno parziale alla cosiddetta normalità, ora è chiaro che il cambiamento in atto consoliderà nuove abitudini destinate a perdurare anche in futuro.

Gli acquisti on line di generi di largo consumo hanno segnato un +300%, in meno di 5 mesi l’online shopping ha fatto un salto di 5 anni e continua a crescere, il canale ha ricevuto domande fino a 30 volte quella che era la situazione standard precedente.

Stiamo parlando, soprattutto in Italia, di quella che è ancora di una quota minima del totale ma se teniamo presente l’impennata della curva e calcoliamo che normalmente lo scontrino dello shopping online per il food vale due volte e mezzo quello medio nella distribuzione fisica, risulta evidente che si tratta di una tendenza impossibile da ignorare se si vogliono preservare le quote di mercato faticosamente conquistate in anni di lavoro commerciale, di marketing, nella costruzione di brand, nella loro comunicazione e nella conquista di posizioni strategiche all’interno dei canali di vendita: questa è la sfida per produttori.

Le aziende che non si terranno al passo con questa trasformazione resteranno indietro in maniera sostanziale perché l’accelerazione del processo di digitalizzazione degli acquisti si sta concentrando in un lasso di tempo molto breve: quando un mese vale un anno, recuperare il gap di svariati mesi in termini di skill, sia culturali che materiali, diventa arduo.

É chiaro che distribuzione on line e distribuzione fisica continueranno a coesistere, quello che sta per succedere, però, è che l’e-commerce in generale, inclusi i generi di largo consumo, è destinato ad acquisire una quota di volumi molto maggiore di quella attuale.

A parte Cina e India, il sentiment dei consumatori mondiali già in settembre era cauto, per non dire pessimistico, questo stato d’animo può solo essere confermato dai nuovi sviluppi della pandemia e della sua seconda ondata.

Il timore di un aggravarsi della conseguente crisi economica spinge gran parte del pubblico a concentrare le intenzioni di spesa sugli acquisti essenziali, è proprio nella fascia dei beni di largo consumo che in questo momento si prevede un calo controllato, non drastico.

É quindi in questo ambito che si giocherà la partita più impegnativa.

Come sempre, soprattutto nei momenti complessi, è meglio concentrarsi sulle opportunità generate dalla situazione che non sulle sue difficoltà.

Quello che i marchi resilienti faranno a questo punto sarà immaginare un nuovo customer journey per quanto riguarda il food e tutte le merci di largo consumo, che non perda assolutamente di vista lo scaffale fisico ma che cominci a pensare di integrare progressivamente anche a quello virtuale, nelle strategie commerciali.

Proviamo ad evidenziare quali sono le opportunità create da questa situazione per i proprietari di brand, per le aziende e per le agenzie di comunicazione che li accompagneranno in questo percorso.

La prima è certamente la possibilità di costruire un rapporto diretto con i consumatori, un rapporto che sia solo parzialmente intermediato dalla distribuzione.

Quando si dice dal produttore al consumatore la prima cosa che viene in mente è l’idea di una filiera distributiva corta, di un minor numero di passaggi di mano, quindi di un maggior risparmio e in alcuni casi addirittura l’idea di una maggior freschezza che spesso si collega anche solo a livello immaginario, ad una maggior genuinità.

La concretizzazione di questo vantaggio teorico diventa particolarmente evidente nel caso del progetto attivato da Campagna Amica, una fondazione promossa da Coldiretti che durante il primo lockdown ha creato sul web l’equivalente di un mercato rionale di prodotti agroalimentari dove si può fare la spesa spostandosi fra i vari banchi di specialità, senza uscire di casa e vedersi consegnare a domicilio quanto ordinato: una combinazione perfetta di high tech/ high touch che ha portato a casa degli acquirenti conserve, miele, formaggi, carni, verdure e frutta che andavano dal produttore direttamente al consumatore con tutti i vantaggi di freschezza e risparmio sopracitati.

Non tutti i prodotti alimentari sono uguali, esiste per esempio una maggior complessità per quanto riguarda l’home-delivery di tutto quello che di solito sta nello scaffale del fresco. Proprio in questo caso specifico è molto interessante quello che ha fatto Granarolo mettendo in essere quella che probabilmente diventerà una case history di sharing economy: i suoi furgoni, attrezzati per il trasporto del fresco sono stati messi in condivisione con altri marchi che necessitavano dello stesso tipo di supporto alla consegna ottimizzando l’utilizzo di una rete pre-esistente a vantaggio di tutti.

Consumatori inclusi. *

Affrontare da soli l’impresa di avviare un’e-commerce efficiente, anche solo su scala nazionale infatti non è cosa da poco, soprattutto in un territorio come il nostro dove gran parte delle aziende dell’agroalimentare sono aziende piccole, familiari, che seguono ancora logiche molto legate alle loro specificità e alle loro identità; una ricaduta interessante, in questo senso, potrebbero essere le sinergie che questa necessità potrebbe creare fra produttori di diversi alimentari all’interno dello stesso territorio.

Costituendo così un presupposto che spinga le PMI italiane a cominciare a fare sistema.

Sempre seguendo il filo logico di questo rapporto diretto fra marca e consumatore un’altra opportunità è quelle di utilizzare le attività di e-commerce non esclusivamente per fini commerciali, considerando l’operazione non esclusivamente come attività commerciale ma anche come una forma di comunicazione diretta fra brand/prodotto e i suoi consumatori.  

Questa estensione di utilizzo può avvenire sia creando dei contenuti che accompagnino l’offerta che possono variare moltissimo a seconda della tipologia dei prodotti, possono essere informazioni sugli ingredienti, sulle diverse modalità d’uso ma anche veri e propri contenuti redazionali di servizio come nel caso degli alimenti per l’infanzia e i prodotti per la puericoltura o il cibo e gli accessori per gli animali.

La possibilità di acquisto online non va vissuta solo come necessità, come un semplice adeguamento al nuovo stato delle cose, può e deve diventare una leva che contribuisca alla creazione di valore di marca: uno dei modi per farlo è ad esempio consentire al consumatore già al momento dell’acquisto di verificare la tracciabilità di quello che sta comprando, garantendo in questo modo la sicurezza, il rispetto di un’etica di produzione e identificando la specificità e la provenienza delle materie prime; anche l’italianità del prodotto o dei suoi ingredienti si è rivelata essere una caratteristica vincente.

L’italianità intesa come valore ci conduce ad un punto importante delle considerazioni sul valore aggiunto che l’e-commerce può creare: quando si è on line non ci si sta più rivolgendo esclusivamente al proprio mercato nazionale, ci si sta proponendo al mondo, la tracciabilità garantisce questo valore funzionando da presidio dell’offerta nazionale nei confronti di tutti quei prodotti italian sounding che ogni anno sottraggono al nostro export decine di miliardi di fatturato.

Questa riflessione ci porta ancora una volta a sottolineare la necessità di fare sistema da parte di quelle imprese piccole e medie che producono tanta parte della nostra eccellenza agroalimentare, per strutturare la loro presenza in rete in partnership.

Per estensione si possono considerare contenuti di comunicazione e generatori di valore anche la proposta formati di prodotti diversi (solitamente più grandi) o versioni di prodotto che si differenziano rispetto a quanto si trova già sullo scaffale fisico, la proposta di abbonamenti che favoriscano la reiterazione dell’acquisto consentono un aumento del customer lifetime margin (valore che si crea nel tempo composto dal margine di guadagno sul singolo prodotto venduto e la reiterazione dell’acquisto), oppure ancora una scontistica particolare, edizioni limitate dedicate alle vendite online.

E ancora, e soprattutto, l’essere presenti sulle piattaforme dei pure player, come ad esempio Amazon, con dei veri e propri shop in shop virtuali che veicolino l’identità di brand.

Si tratta a questo punto di inventare una forma di retail proprietario che porti on line i codici di comunicazione di marca, superando l’anonimato molto funzionale ma molto poco empatico che caratterizza oggi l’esperienza dell’acquisto online. Così come potrebbe essere interessante creare dei packaging che oltre ad essere funzionali sullo scaffale fisico siano stati valutati pure per la visibilità che avrebbero su quello virtuale.

L’e-commerce in questa ottica, oltre ad essere un canale di vendita, diventa un media che permette una molteplicità di approcci nei confronti dello stesso consumatore, cogliendolo in momenti diversi della sua attitudine d’acquisto: quando è a caccia di risparmio, mentre è alla ricerca informazioni e di contenuti oppure di servizi.

La comunicazione BtC dei marchi che decidono di partecipare a questo cambiamento può quindi giovarsi di un canale nuovo che va ad aggiungersi ed integrarsi a quelli che, come i social e le campagne online, si sono inseriti già da tempo all’elenco media che vanno presidiati per sviluppare strategie di comunicazione.

In conclusione: considerare l’online come un canale di vendita da attivare per fare fronte ad un’emergenza come quella che stiamo vivendo in questi mesi è riduttivo.

Ci sono molte altre opportunità all’interno di questa scelta. Opportunità che per dare frutti domani hanno bisogno di essere colte al volo oggi.

Case history tratte dalla presentazione della ricerca Digital Food Strategy 2020 – Casaleggio e Associati*

Photo by Peter Bond on Unsplash