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War economy?

Oggi parliamo di war economy.
Il 12 marzo, a margine del Consiglio europeo tenutosi a Versailles per discutere della posizione comune UE sulla guerra in Ucraina, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato proprio di economia di guerra.

4 aprile 2022 22 minuti
war economy

La nostra è o sarà davvero un’economia di guerra?

Oggi parliamo di war economy.

Il 12 marzo, a margine del Consiglio europeo tenutosi a Versailles per discutere della posizione comune UE sulla guerra in Ucraina, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato proprio di economia di guerra.
Rassicurando tutti sul presente e sul futuro dell’Unione; Draghi ha spiegato che non vede il rischio di un allargamento della guerra, “lo hanno detto anche i nostri alleati: più pesanti sono le sanzioni e minore è il rischio di un allargamento del conflitto” , naturalmente si riferiva al conflitto militare, perché dal punto di vista economico il conflitto ci riguarderà sicuramente.

La guerra si sta combattendo su vari fronti: quello squisitamente militare che riguarda in questo momento Ucraina e Russia, quello economico che riguarda buona parte del blocco occidentale coalizzato contro la Russia e quello digitale.

Tra vera e propria scarsità di risorse da un lato e spietata speculazione dell’altro, abbiamo, se non altro, un ulteriore fattore (dopo la pandemia) che sembra mettere d’accordo fra i 27 dell’UE.

Il documento prende in analisi il macro scenario, le ricadute economiche italiane relative alla crisi dell’export in Russia non sono state prese in considerazione, in quanto non significative da un punto di vista globale.

I dati e i fatti che riportiamo fanno riferimento fino al 25 di Marzo

Argomenti trattati

  1. Lo scenario internazionale
  2. L’energia e le materie prime
  3. Lo scenario italiano
  4. La filiera agroalimentare
  5. L’impatto sui consumatori
  6. Ricadute sulla marketing industry

1 – Lo scenario internazionale | War Economy

Da una parte tutto il mondo economico e finanziario spera nel piano di pace tra Russia e Ucraina, dall’altra le forze russe che continuano a bombardare le infrastrutture militari e civili ucraine.

L’Ucraina in lotta determinatissima per la sopravvivenza, nel mezzo.

La pandemia (mai sconfitta) ha lasciato l’economia globale con due vulnerabilità:
inflazione elevata e mercati finanziari nervosi. Ora la guerra sta facendo il resto. 

Il certamente non auspicabile crollo dei mercati  finanziari aggiungerebbe quindi un altro ostacolo, colpendo ricchezza e fiducia e rendendo più difficile per le aziende attingere fondi per gli investimenti.

Tra URSS e sentimento imperiale

La mortificazione della Russia, dopo la disgregazione dell’URSS nel 1991, è un fenomeno geopolitico troppo ampio per essere trattato in questa sede. 

Sta di fatto che questo sentimento di perdita ha generato un senso di rivalsa nei confronti dell’Occidente che oggi si trasforma in un problema per l’Occidente stesso.

Il potere delle sanzioni

Le sanzioni stanno facendo esplodere l’economia russa: sono state imposte restrizioni che vanno dal congelamento dei beni all’estero dell’élite, al congelamento degli asset in valuta estera della banca centrale, che avrebbero potuto rappresentare un’ancora di salvezza per la Russia.

Inoltre il paese è stato bandito da ogni rapporto commerciale con gli USA.

E per quanto riguarda l’UE, gli unici rapporti esistenti riguardano l’energia e il petrolio, anche se questi ultimi sono sempre più a rischio a causa della recente richiesta di Putin di ricevere pagamenti in rubli per gas naturale e petrolio, minacciando così di violare i contratti internazionali  in essere.

Il rublo è crollato (e la Russia ha un disperato bisogno che si apprezzi) la borsa di Mosca ha riaperto da poco, con drammatiche perdite,  e il petrolio russo viene scambiato con sconti sempre più alti rispetto al Brent e al WTI.

Le sanzioni colpiscono davvero l’élite?

La risposta a questa domanda è “nì”.

Se ad oggi, da un lato il numero delle imprese sanzionate è di oltre 600, ed il numero di membri dell’élite è di circa 400, non si può però non tenere conto del modo in cui vengono condotti gli affari in Russia (che poi è un retaggio fatto di corruzione della morente URSS).

Il business viene infatti condotto secondo il principio del “krysha”

Un “big man” di un determinato distretto, in genere, paga un boss regionale per ripararsi sotto il suo metaforico tetto,krysha“, appunto, ( e non dissimile dalla matrioska)

Il boss regionale si rifà poi ad un oligarca nazionale che a sua volta paga la protezione a un potente politico. Lo Zar siede all’apice di questo sistema di tetti sovrapposti.

Questo è un sistema utile e flessibile per i regimi di elusione delle sanzioni. 

Quando queste impediscono a un oligarca o un’organizzazione di trattare con l’Occidente per conto del “padrino”, è invece possibile che un tirapiedi non autorizzato possa essere incaricato di farlo

È così che la banca centrale russa potrebbe smaltire parte dei suoi 160 miliardi di dollari in oro sanzionato.

Come risultato, le banche della City di Londra e Wall Street non possono essere sicure con chi hanno a che fare. Questo è anche detto “chilling effect”.

Quindi le sanzioni colpiscono in generale (e gravemente) l’economia russa ma non chi dovrebbero effettivamente colpire.

Le ripercussioni sull’Occidente

In poche settimane, la guerra tra Russia e Ucraina ha già causato uno shock per l’economia globale.

L’aumento mostruoso dei costi legati all’energia e la scarsità di risorse, fattori di instabilità collegati al conflitto ma preesistenti, stanno mettendo in pericolo le filiere produttive di molti paesi occidentali, con il rischio di esacerbare ulteriormente l’inflazione e comprimere la crescita a livello globale (negli USA, l’inflazione nel mese di febbraio su base annua si attestava al 7,9% – numeri che non si vedevano dagli anni ‘80 -).

Di per sé, la Russia è stata a lungo un attore relativamente minore nell’economia globale, rappresentando solo l’1,7% del PIL mondiale, tuttavia il paese (come l’Ucraina del resto anche se in misura minore) è un enorme esportatore di energia  (soprattutto per il mercato europeo) e di altre materie prime come cereali e alcuni metalli.

Ecco perché le sanzioni non sono state finora applicate a tutti i settori produttivi, almeno da parte dei paesi europei.

Focus sull’UE

In questo quadro, i 27 sono indubbiamente i paesi che più subiranno ripercussioni. Di fatto, la crescita dell’UE risulterà “gravemente colpita”, come ha avvertito qualche giorno fa  la Commissione europea.

La maggiore spia è senza dubbio il drastico calo della fiducia degli investitori in Germania, rilevata dallo ZEW (Centro Europeo per la Ricerca Economica) per il mese di marzo: da 54,3 punti di febbraio a – 39,3 di marzo, e non lontano da -49,5 a marzo 2020, tempi in cui infuriava la prima ondata della pandemia.

Achim Wambach, il presidente dello ZEW. ha affermato: “La guerra in Ucraina e le sanzioni contro la Russia stanno notevolmente peggiorando le prospettive economiche per la Germania” (e di conseguenza peggioreranno  anche quelle europee).

Nel mese di marzo, stiamo assistendo ad un’ulteriore impennata dell’inflazione nell’eurozona, che già aveva raggiunto il massimo storico del 5,8% a febbraio.

Una speranza per i paesi UE?

Non più tardi di 15 giorni fa Christine Lagarde, presidente della BCE, ha dichiarato durante un discorso che il perdurare della crisi ucraina potrebbe avere effetti ancor più impattanti per i 27.

Ma ha anche aggiunto che, nonostante tutto, l’economia della zona euro “dovrebbe crescere ancora in modo robusto nel 2022 grazie al minor impatto della pandemia, alla prospettiva di una domanda interna solida ed anche ad un mercato del lavoro solido”.

La Commissione ha avvertito che l’impatto degli shock esterni varierebbe a seconda dell‘esposizione dei singoli paesi all’energia russa, delle loro strutture economiche, dell’ubicazione geografica e del grado di flessibilità delle loro finanze pubbliche.

2 – L’energia e le materie prime | War Economy

Le cause dell’aumento dei prezzi dei beni energetici e di alcune materie prime affondano le proprie radici ben prima che la guerra scoppiasse.

A livello quasi globale, i lockdown, avevano lasciato come eredità l’esplosione della domanda cui era inevitabilmente corrisposto un costante e moderato aumento dei prezzi, per l’appunto.

Ma se per la prima parte del 2021 tale inflazione era definibile come “buona”, in quanto parziale motore propulsore della crescita, nel secondo semestre 2021 e poi con lo scoppio delle guerra tra Russia e Ucraina le cose sono cambiate radicalmente.

Il grave problema del gas naturale

Oggi il costo del gas naturale è più che sestuplicato rispetto ad un anno fa. In questi giorni, i futures vengono scambiati alla borsa di Amsterdam (il benchmark europeo di riferimento) ad un range di prezzo €100/MWh /  €120/MWh contro i €17/MWh di marzo 2021.

Questo mostruoso aumento, che è stato persino e di gran lunga superiore nei primi momenti della guerra, va a minare pesantemente la fiducia di famiglie e imprese cosiddette “energivore” ma non solo.

Uno degli altri effetti a cui potremmo assistere nel breve, almeno in alcuni paesi dell’UE, è infatti quel fenomeno (mai visto neanche durante crisi energetica del 1973) di “Distruzione della Domanda” (ovvero lo specifico drastico minor consumo di energia).

Come siamo arrivati a questo, guerra a parte?

I futures del gas naturale da aprile 2021 a gennaio 2022


Quali sono stati quindi i fattori scatenanti?

Primo su tutti, l’aumento a livello globale della domanda, dovuto all’uscita dei paesi dalle imposizioni imposte dai vari lockdown. A questo si sono poi aggiunti l’inverno più rigido e la maggior concorrenza dei paesi dell’Asia orientale

Non sono infine mancati anche problematiche lato offerta, come i ritardi nella manutenzione degli impianti e, generalmente parlando, il minor numero di investimenti.

Questi prezzi hanno poi fissato a loro volta nuovi prezzi sui mercati dell’elettricità, dato che oltre un quinto di quella europea, proviene dal gas naturale. In Italia addirittura il 50% circa.

Quali paesi esportano più gas naturale in UE?


L‘UE dipende fortemente dalle importazioni di gas naturale che provengono dall’esterno, dato che la produzione interna è andata gradualmente diminuendo nel corso degli anni.

Stando alle stime di Eurostat, l’UE ha dovuto importare quasi il 90% del suo gas naturale dall’esterno  nel 2019.

E cosa ancor più grave, alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina, la Russia è il più grande esportatore in UE, rappresentando il 43,4% del totale nel 2020, seguita dalla Norvegia.

Con ogni probabilità, le stime sull’esportazione in UE del gas russo subiranno una sensibile contrazione, o addirittura cesseranno entro la fine del 2022.

L’importanza del consumo di gas naturale in UE


Il gas naturale è il secondo combustibile più consumato dai 27 dell’UE dopo petrolio e prodotti petroliferi.

Nonostante i consumi siano diminuiti rispetto al 2008, questo rimane una grande fonte di energia.

Alcuni esperti hanno affermato che parte del problema è la dipendenza dai combustibili fossili e che il passaggio a più energie rinnovabili aiuterebbe a risolvere un problema che è sempre più urgente a causa della drammatica evoluzione dello scenario geopolitico.

Non solo energia

Grano, mais. Ma anche nickel, alluminio e da pochissimo anche l’acciaio; dal 2021 i mercati hanno assistito ai progressivi ed eccezionali rincari di queste materie prime, e con la guerra questa tendenza è stata ulteriormente accentuata da vera e propria scarsità delle risorse nelle catene di approvvigionamento

Solo per quanto riguarda il grano, basti pensare che negli ultimi due anni, Russia ed Ucraina sono stati la fonte di circa il 14% della produzione mondiale, rappresentando circa il 28% delle esportazioni globali.

L’alluminio, il nickel sono balzati ai massimi di 11 anni pochi giorni dopo lo scoppio della guerra. E, a fronte di questo, i commercianti si preparavano ad interrompere i rapporti con la Russia, che poi è uno dei principali produttori di entrambi i metalli. Il tutto in un contesto in cui le scorte globali si stavano già drasticamente riducendo.

Per inciso, le già basse scorte di metalli, monitorate dal London Metal Exchange, sono scese ben oltre al di sotto dei livelli critici, dal momento dello scoppio del conflitto.

Un ritorno all’olio di palma?

Prima dello scoppio della guerra, l’Ucraina era il più grande esportatore mondiale di olio di semi di girasole, coprendo circa il 50% del totale mondiale (cifra ancor superiore se si somma anche  il 25% coperto della Russia).

Soprattutto in UE si sentono già gli effetti della carenza di questo che è a tutti gli effetti uno dei 4 principali oli commestibili globali. Come effetto, anche gli altri (palma, soia e colza) hanno visto aumentare i prezzi delle proprie materie prime. Naturale quindi la forte spinta concorrenziale per colmare il vuoto lasciato dall’assenza del prodotto ucraino.

E non è solo la categoria dell’olio da cucina a risentirne: quest’olio è infatti impiegato in una vasta gamma di categorie merceologiche che includono le salse da cucina  e i prodotti da forno dolci /  salati e il baby food.

Per contestualizzare meglio, il 20% dei prodotti alimentari e bevande lanciati a livello mondiale nel 2021 conteneva olio di girasole o altri derivati ​​(es. lecitina e noccioli).

I fertilizzanti

Le carenze nella catena di approvvigionamento di petrolio, ma soprattutto di gas naturale, pongono le basi per enormi sfide nel comparto agricolo per il presente e il prossimo futuro.

ll gas naturale è un ingrediente chiave nei fertilizzanti a base di azoto. Gli alti prezzi di questo asset porteranno a una diminuzione della sua produzione, minacciando così l’approvvigionamento alimentare globale. 

Già nel 2021, i prezzi dei fertilizzanti erano aumentati vertiginosamente a causa dell’impennata dei future sul gas naturale. Con questo significativo, ulteriore aumento ci sarà una pressione ancora maggiore sui prezzi delle proteine ​​animali come pollame e manzo.

Come nota conclusiva, la Russia è il principale esportatore d