Sostenibilità

Blockchain: il paradosso della sostenibilità

La blockchain, come molti sanno, non è altro che un registro digitale distribuito su nodi, che ospita dati di qualsiasi tipo in modo decentralizzato, immutabile e criptato. Oggi questa tecnologia è al centro di un paradosso contemporaneo ed è di questo paradosso che vogliamo parlare, cioè del suo utilizzo, fra le altre cose, per certificare la sostenibilità ambientale di imprese o protocolli di produzione. Utilizzarla a questo scopo a prima vista appare come un controsenso, visto che la tecnologia blockchain ha una storia tutt’altro che sostenibile.

6 luglio 2023 13 minuti
Blockchain: il paradosso della sostenibilità

La blockchain, come molti sanno, non è altro che un registro digitale distribuito su nodi, che ospita dati di qualsiasi tipo in modo decentralizzato, immutabile e criptato. 

Oggi questa tecnologia è al centro di un paradosso contemporaneo ed è di questo paradosso che vogliamo parlare, cioè del suo utilizzo, fra le altre cose, per certificare la sostenibilità ambientale di imprese o protocolli di produzione.

Utilizzarla a questo scopo a prima vista appare come un controsenso, visto che la tecnologia blockchain ha una storia tutt’altro che sostenibile. 

Il suo problema più evidente consiste nel fatto che i blocchi di cui è composta, nelle sue versioni tradizionali, per essere generati, necessitano di macchine con un’esorbitante capacità di calcolo. Questi supercomputer, per funzionare, consumano un quantitativo altrettanto esorbitante di energia elettrica. In alcune regioni del mondo, questo quantitativo di energia può essere talmente costoso da diventare proibitivo. È per questo che l’attività di mining, cioè la produzione dei blocchi che compongono le blockchain, è regolamentata e in alcune situazioni addirittura proibita.

Ma non è solo un problema di costi: un uso così estensivo di energia costituisce un grave problema di impatto sull’ambiente. Come esempio basti Bitcoin. La più estesa blockchain del mondo, dedicata quasi esclusivamente all’omonima criptovaluta (BTC). 

Bitcoin consuma ogni anno circa 150 terawatt-ora, cioè un quantitativo di energia pari a quello necessario all’intera Argentina. La produzione di un simile quantitativo di energia elettrica comporta un’emissione annua approssimativa di 65 megatoni di CO2 nell’atmosfera. 

Però la blockchain è una tecnologia emergente e quello a cui assistiamo è solamente un clamoroso esordio. In considerazione del suo potenziale impatto negativo sull’ambiente, si sta evolvendo con sviluppi che cercano di prendere in carico la sostenibilità ambientale. 

L’alleggerimento dell’impatto sull’ambiente, comunque, non passa solo dalle trasformazioni della blockchain in sé, contestualmente è necessario un miglioramento dal punto di vista delle infrastrutture digitali generali, come il passaggio alla connessione 5G e la diffusione di device sempre più smart a prezzi sempre più accessibili. Oltre alla ricerca di fonti energetiche più sostenibili.

A questo scopo i legislatori stanno cercando di adattare le nuove regolamentazioni al fine di stimolare lo sviluppo di sistemi di produzione di energia che mitighino il rischio ambientale. 

Le partnership instaurate dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), come la recente Coalition for Digital Environmental Sustainability, stanno supportando questi sforzi attraverso il collegamento delle applicazioni della tecnologia digitale con le tematiche ambientali. Lo scopo è ridurre l’impatto sul riscaldamento climatico delle tecnologie del Web3, di cui la blockchain è una delle espressioni più utilizzate. 

Nella seconda parte del 2022 c’è stato un drastico e generalizzato calo di interesse nei confronti di queste tecnologie. Ha riguardato soprattutto il Metaverso e le criptovalute. La ragione è semplice, il Metaverso non è decollato come ci si aspettava e la finanza digitale ha bruciato migliaia di miliardi sui vari mercati azionari. 

Nonostante questo, la propensione delle aziende di tutto il mondo verso l’utilizzo della blockchain continua a crescere a mano a mano che questa tecnologia rivela potenziali campi di applicazione che prescindono dalle criptovalute. Viene utilizzata per scopi molto diversi: migliorare la trasparenza della supply chain, efficientare la logistica oppure svolgere attività di marketing.
Trattandosi di un set di  tecnologie dedicato allo scambio di informazioni, infatti, non ha un unico campo di applicazione, la gamma dei suoi possibili utilizzi è definita dal tipo di business che decide di impiegarla. 

Un’analisi condotta da CasperLabs e Zogby Analytics, nel gennaio 23 dimostra che nell’impresa globale il sentiment circa l’adozione di Blockchain è particolarmente positivo. 

Il sondaggio è stato condotto su un campione statisticamente rilevante: decision maker di 603 imprese negli Stati Uniti, UK e Cina. 

Quasi il 90% delle aziende coinvolte afferma di aver utilizzato in qualche misura questa tecnologia. Un 87% si dichiara convinta a continuare ad investire nell’arco dell’anno. Questa tendenza è particolarmente evidente in Cina. 

I principali ambiti di uso, secondo la ricerca sono due: la sicurezza (42%) e la tutela della proprietà intellettuale (42%). Seguono poi le aziende IT che la usano principalmente per la gestione del workflow interno, l’efficientamento della supply chain (cioè per registrare le forniture dei famigerati e scarsissimi microchip) e, infine, lo sviluppo di software.

Sempre a proposito dell’analisi della predisposizione delle aziende all’uso della blockchain troviamo i risultati di un’indagine di Blockdata, una piattaforma di marketing intelligence dedicata proprio alle blockchain. Già nell’Ottobre 21 ha svolto un audit sulle 100 aziende più importanti che stavano utilizzando la tecnologia. Dai risultati si evince che già allora le aziende che erano attivamente coinvolte dall’uso di blockchain, stavano concentrando gli sforzi in 3 aree: pura sperimentazione d’uso, esecuzione di progetti pilota per l’uso aziendale, utilizzo effettivo da parte di impiegati, partner e clienti. Di seguito una mappa delle 44 aziende internazionali più attive fra le 100 prese in analisi. È evidente che questa pratica coinvolge brand importantissimi in svariati settori.

È interessante dare uno sguardo anche all’adozione della blockchain da parte del sistema produttivo italiano in generale e del brand Made in Italy in particolare.
Il ’22 è stato un anno in cui le istituzioni finanziarie e le aziende italiane hanno continuato a dimostrare grande interesse verso questo tipo di asset digitale. Negli ambienti produttivi del Paese cresce la consapevolezza che la blockchain è la tecnologia giusta per promuovere e mettere in sicurezza in tutta trasparenza, i processi di governance di brand e prodotti locali, sia sul mercato locale che su quello globale. 

L’Italia è un contesto dove Stato, organizzazioni e aziende stanno costruendo infrastrutture che a lungo termine supporteranno l’espansione della blockchain industry del Paese.

I settori coinvolti sono diversi. 

Il fashion e luxury è il primo di questi. Brand come Gucci e Tod’s hanno cominciato già da tempo ad utilizzare blockchain per produrre gli NFT nel loro marketing e nei loro programmi di fidelizzazione che sono iniziati alla fine del 2021. 

La svolta veramente importante però arriva nel 2022, quando il Ministero Italiano per lo sviluppo economico instaura una collaborazione con IBM per avviare uno studio di settore sull’applicazione della blockchain ad un’area industriale strategica per il Paese: quella tessile.

L’idea su cui basava il progetto era multipla: utilizzare le funzioni di certificazione della trasparenza e della tracciabilità tipiche della blockchain, mettendole in relazione a 4 vettori fondamentali: qualità, origine, sostenibilità ambientale ed etica. 

Il focus era rivolto ai vantaggi che le PMI italiane, attive in Italia e all’estero, potevano ricavarne in termini di reputazione rispetto alla concorrenza. Visto che il tessile opera con catene di fornitura vaste, complesse e spesso opache. 

I risultati dello studio dimostrano che la blockchain può aiutare il Made in Italy a risolvere i dubbi dei consumatori collegati all’origine e alla produzione dei tessuti. Preoccupazioni circa lo sfruttamento di manodopera infantile, l’uso di trattamenti e di colorazioni tossiche, l’impatto sull’ambiente delle produzioni possono essere infatti facilmente risolte dalla registrazione dei dati su blockchain. I vantaggi per la PMI tessile italiana sono la piena tracciabilità e trasparenza della catena di fornitura e di tutti coloro che sono coinvolti nelle procedure di certificazione. L’aspetto critico è che conoscenza e percezione della blockchain nel settore sono tutt’altro che omogenee. 

L’altro caso strategico dell’impiego di blockchain a protezione del marchio Made in Italy è l’industria agro-alimentare.

Affidaty, autorevole provider di tecnologia specializzato nello sviluppo e nella creazione di architetture Blockchain, evidenzia che, in maniera simile al tessile, anche il comparto agro-alimentare italiano ha iniziato a beneficiare della blockchain. 

Con i suoi oltre 300 prodotti certificati DOP, IGP, SGT e i suoi più di 500 vini DOC, DOCG e IGT, nel 2021 l’agroalimentare italiano ha raggiunto un valore totale di 64 miliardi di €. Di questi ben 50 risultano dall’export. Questi numeri, però, per quanto importanti, impallidiscono a confronto di quelli dei prodotti italian sounding, cioè quelli che attraverso un uso distorsivo di nomi, loghi e immagini si spacciano come italiani senza esserlo, sottraendo all’export Made in Italy oltre 100 MLD di € all’anno.  Anche in questo caso la blockchain può essere uno strumento importante per combattere frodi alimentari e può essere utilizzata su iniziativa di aziende e fornitori per raccogliere e diffondere informazioni rilevanti sui processi di produzione, rinforzando il legame di fiducia coi consumatori.

Che l’Italia sia un terreno fertile lo dimostra anche il panorama delle startup blockchain, che è creativo, dinamico, eterogeneo e vede fiorire approcci sempre nuovi. 

Secondo PWC emerge che dal 2017 al 2021, in Italia sono state create in media almeno 22 startup all’anno basate su tecnologia blockchain. Molte di queste nuove imprese propongono soluzioni che sfruttano la blockchain per scopi sempre nuovi o in una formula diversa da quelle già esistenti. 

Quanto preso in analisi finora dimostra che il paradosso di cui parlavamo è una realtà: siamo di fronte ad una tecnologia energivora ad alto impatto che vede un potenziale utilizzo nella certificazione della qualità e della sostenibilità. C’è però una buona notizia: la blockchain industry è già avviata verso un futuro più sostenibile. Il 2022 ha visto un avanzamento green frutto dello sforzo di molte aziende del settore che si sono concentrate sulla riduzione delle emissioni di CO2. 

L’avvenimento più importante che ha dato il via al trend green è stato il Merge di Ethereum, una delle blockchain più prestigiose e all’avanguardia, con Beacon Chain una blockchain secondaria.

Completato nel settembre 2022, costituisce l’inizio di questo movimento verso la sostenibilità dell’intera industry perché ha eliminato la necessità di impiego di hardware con capacità di calcolo enorme per il mining. Grazie a questa svolta è diventato possibile utilizzare desktop e laptop normalissimi, come quelli che usiamo ogni giornoQuesta conversione ha ridotto immediatamente il consumo di energia di Ethereum del 99,9%. 

Ma sono anche altre le blockchain che hanno puntato il loro focus sulla sostenibilità. 

Algorand blockchain network, per esempio, nasce già con una particolare attenzione all’ambiente e negli ultimi due anni ha fatto passi da gigante per raggiungere l’impatto zero. 

Nel 2021 si è unita in partnership con ClimateTrade, un’azienda che usa la tecnologia blockchain con l’obiettivo di sostenere altre imprese nel processo di riduzione della loro carbon footprint tramite il tracciamento delle emissioni di CO2. Questa alleanza ha fatto sì che una parte dei guadagni di Algorand siano stati accantonati per comprare i carbon credit necessari a compensare le emissioni del network.  

Solana è una piattaforma blockchain progettata per ospitare applicazioni decentralizzate e incarna i nuovi modelli di generazione di token in logica green. 

La piattaforma può teoricamente arrivare a processare più di 60.000 transazioni al secondo. Un dato che eclissa il network Bitcoin in grado di processare solo 7 transazioni al secondo con emissioni decisamente maggiori. 

All’inizio del 2023 Solana ha ricevuto una valutazione delle sue emissioni di CO2 molto favorevole da parte del Crypto Carbon Ratings Institute (CCRI): i suoi consumi ammontano a soli 0,166 watt-ora per ogni transazione.

Foodtrax invece ha identificato un’area della sostenibilità ambientale in cui la blockchain può avere un impatto significativo, è una blockchain-based App che traccia i prodotti alimentari dalle origini fino allo scaffale per eliminare lo spreco provocato da cattiva gestione e stoccaggi sbagliati. 

Un altro ambito di impiego molto importante di Foodtrax è il riciclo: creando programmi dedicati le organizzazioni di economia circolare possono premiare con incentivi finanziari, in forma di token, chi si impegna a separare i rifiuti per favorirne il riutilizzo.  

Foodtrax aiuta a tracciare dati essenziali come costi, volumi e il profitto derivato. E a valutare l’impatto ambientale di ogni individuo, azienda o organizzazione che partecipa al programma. 

Queste blockchain green sono destinate a rimanere e ad aiutare tutte quelle che verranno in futuro. Sono progettate per avere una sostenibilità ambientale superiore e per diventare sempre più popolari fra chi le usa proprio per le loro basse emissioni e la loro scalabilità. 

Faranno da apripista per le altre blockchain, ancora più environmental friendly, che verranno e incoraggeranno l’attenzione alla sostenibilità di quelle già esistenti.  

Possiamo affermare con buona certezza che negli ultimi due anni si sono create le basi per una nuova era in cui i progetti di blockchain green diventeranno sempre più rilevanti fino a prevalere del tutto.

Gli ultimi sviluppi tecnologici della blockchain, dunque, ci rassicurano circa la possibilità di un impiego sostenibile. Il paradosso si avvia quindi ad una risoluzione: pensare di utilizzare la tecnologia blockchain per certificare le sempre più urgenti pratiche ESG (Environmental and Social Governance) delle aziende di ogni settore, presto non costituirà più un controsenso. 

Anzi le certificazioni blockchain potranno creare una svolta risolutiva nell’allineamento della teoria 

dei protocolli ESG con la realtà dei fatti, contribuendo all’eliminazione del green-washing.

I dati relativi alle reali emissioni provocate dalle attività complessive delle imprese, possono essere registrati su blockchain e resi pubblici dando alle persone la possibilità di confrontarli con gli obiettivi che l’azienda utilizza in comunicazione al fine di costruirsi una buona reputazione. 

Allo stesso modo le aziende possono registrare le condizioni di lavoro dei loro dipendenti, i risultati in termini di prodotti e servizi e, come dicevamo a proposito del Made in Italy, la correttezza delle catene di fornitura. 

L’integrazione dei dati sul rispetto dei protocolli ESG registrati su blockchain con gli smart contract, costituirà un passo ulteriore verso verità e trasparenza perché gli smart contract possono essere applicati per divulgare automaticamente i dati al pubblico e agli organismi di controllo. 

Questo può avvenire in tempo reale o attraverso bollettini periodici senza la necessità di interventi o interferenze umane, garantendo l’esattezza dei dati. 

L’Italia dimostra di essere un mercato sensibile, ricettivo e propositivo nei confronti della blockchain che vede già coinvolti due dei principali poli di creazione di ricchezza del Paese (agro-alimentare e moda). Questo significa che una parte delle aziende mass market a cui si rivolgono le agenzie di comunicazione di marca, potranno essere coinvolte nello sviluppo di pratiche che la includono. 

I dati certificati di un’attività produttiva responsabile potranno essere utilizzati come contenuti di comunicazione per costruire reputazioni di reale valore, contribuendo alla credibilità dei brand e allo sviluppo della fiducia nei loro confronti da parte delle comunità.